Un apparato di concetti e strumenti in grado di rendere più efficace l’azione del manager: è questo il contributo straordinario che le neuroscienze offrono alle aziende e alla loro struttura organizzativa. La maggior parte delle conoscenze sul funzionamento del cervello resta un patrimonio, quasi esclusivo, degli addetti ai lavori.
Eppure, in presenza di un ponte tra il mondo accademico e quello imprenditoriale, i risultati raggiunti in laboratorio possono venir messi al servizio del management, ossia di tutte quelle figure chiamate ad organizzare il lavoro con i collaboratori. Il numero uno dell’azienda, infatti, è il responsabile non solo del capitale economico ma anche di quello personale.
In Italia, dalla fine del secolo scorso, si registra un calo, della PTF (rapporto Istat del 15 novembre 2017), la produttività totale dei fattori, vale a dire la ricchezza attribuibile al progresso tecnico, ai miglioramenti nella conoscenza e nell’efficienza dei processi produttivi. Un’anomalia, in sostanza, visto che si tratta di un indice in crescita ovunque, dall’Europa, agli Stati Uniti, passando per l’Estremo Oriente. Un’inversione di rotta è possibile imparando a gestire l’atteggiamento collettivo delle persone che lavorano in azienda.
È in corso una rivoluzione culturale che punta alla valorizzazione del capitale umano attraverso la formazione manageriale.
L’apprendimento è infatti lo strumento più utile per innovare, orientare i collaboratori al risultato e per gestire il rischio. Il cervello viene visto come un muscolo: tramite un allenamento mirato si possono migliorare le facoltà mentali. Il brain training, infatti, potenzia e rende maggiormente efficaci i diversi tipi di intelligenza, incrementando nuove connessioni.
Consapevolezza, autostima e una buona percezione delle interrelazioni personali sono, insieme alla capacità di gestire emozioni ed atteggiamenti, la ricetta per migliorare l’ambiente lavorativo. La consapevolezza, una delle pietre miliari delle neuroscienze, conduce ad una crescita attraverso la capacità di autocritica e alla mappatura dei propri punti deboli.
Inoltre, l’azienda che non mette a proprio agio i propri dipendenti spreca una grande possibilità di business perché una persona motivata ha una produttività di gran lunga maggiore di una che, al contrario, non si sente parte di una squadra. Anziché impartire un ordine automatico, meglio assegnare un obiettivo, puntando sul senso di responsabilità.
Centrale, infine, il ruolo delle emozioni: l’empatia, ad esempio, genera collaborazione, integrazione e, in generale migliora il clima di lavoro. Perché, come diceva Michael Jordan, “il talento ti fa vincere una partita, l’intelligenza e il lavoro di squadra ti fanno vincere un campionato”.